Il chatbot di OpenAI avverte: pericolo estinzione umana? Il clima pesa più delle macchine

Una visuale sintetica e immediata: un grafico generato da ChatGPT mette in fila i pericoli che potrebbero portare al collasso della civiltà entro il 2150, ma il primo tra questi non è la macchina senziente che molti temono. Invece di puntare il dito contro la sola tecnologia, il modello segnala il cambiamento climatico e il conseguente collasso sociale come la minaccia più plausibile. Lo spunto è arrivato da una condivisione su una comunità online, dove il grafico ha riacceso il dibattito su quali rischi vanno considerati prioritari: lavoro, privacy e sicurezza restano in cima alle preoccupazioni quotidiane, ma lo scenario mostrato sposta l’attenzione su fenomeni ambientali e geopolitici più ampi.

Il confronto tra posizioni è netto: da un lato c’è chi, come il ricercatore Roman Yampolskiy, ha espresso allarmi estremi sul fatto che lo sviluppo dell’intelligenza artificiale possa portare a esiti catastrofici; dall’altro figure come Sam Altman ritengono che, con la maturazione della tecnologia, la stessa diventerà più capace di gestire rischi complessi. I numeri e le percentuali circolate in passato vanno letti con cautela: i modelli predittivi sintetizzano informazioni reperibili in rete, non sono sentenze definitive. Un dettaglio che molti sottovalutano è che questi output dipendono strettamente dai dati d’addestramento e dalle ipotesi poste in input, quindi la classifica delle cause riflette anche le fonti disponibili online.

Questo non significa ignorare il ruolo della tecnologia: il progresso dell’intelligenza artificiale appare tra le possibili cause, ma non al vertice della lista. Accanto al clima figurano scenari concreti come la guerra nucleare, l’impatto asteroidale e le pandemie, tutti elementi che, presi in combinazione, possono aumentare la fragilità delle società. È il quadro complessivo, e non un singolo fattore, a preoccupare gli analisti; uno scenario che può tradursi in collasso delle catene di approvvigionamento, crisi umanitarie e instabilità politica.

Perché il clima è al centro delle preoccupazioni

Il motivo per cui il modello indica il cambiamento climatico come causa principale ha radici pratiche: eventi estremi, innalzamento delle temperature e perdita di risorse mettono sotto pressione sistemi già fragili. In molte aree, specialmente nel Nord Europa e nel Sud dell’Europa, si osservano segnali che rendono credibile uno scenario di stress prolungato — siccità, mareggiate, ondate di calore e crisi idriche che impattano agricoltura, trasporti e salute pubblica. Chi vive in città lo nota ogni stagione: infrastrutture sotto sforzo, costi energetici e problemi di approvvigionamento alimentare si sommano.

Per questo motivo il collasso climatico non è solo un rischio fisico ma anche sociale: la riduzione delle risorse può innescare migrazioni, tensioni regionali e conflitti. Un aspetto che sfugge a chi vive lontano dai territori più vulnerabili è come piccoli shock locali possano propagarsi e creare effetti sistemici, amplificati da reti globali interconnesse. Il grafico condiviso non inventa scenari fantascientifici, ma mette in rilievo interazioni già osservate nei report scientifici: perdita di biodiversità, stress idrico, erosione delle coste e aumento della frequenza di eventi estremi.

Un elemento operativo emerge: le misure di adattamento e mitigazione diventano fondamentali per ridurre la probabilità di collassi a catena. A livello nazionale, iniziative come il rafforzamento delle reti idriche, piani di resili­enza urbana e investimenti nelle infrastrutture energetiche possono abbassare il rischio complessivo. Un dettaglio che molti sottovalutano è la necessità di integrare valutazioni di rischio climatico nelle politiche di difesa civile e negli scenari di pianificazione urbana: senza questo, le contromisure rischiano di arrivare dopo che il danno è già cominciato.

Cosa dice il modello e come prenderlo

Il grafico prodotto da ChatGPT è utile come fotografia delle paure collettive e delle informazioni più diffuse in rete, non come previsione certa. I modelli linguistici raccolgono fonti, le sintetizzano e le riorganizzano; ciò spiega perché emergano elenchi di cause plausibili ma non esaustive. Diversi rapporti tecnici hanno evidenziato che alcuni sistemi faticano a distinguere fatti e opinioni, e questo obbliga a interpretare le risposte con spirito critico. Un fenomeno che in molti notano solo d’inverno nelle discussioni pubbliche è la facile confusione tra allerta e certezza, e il grafico ne è un esempio pratico.

Prendere sul serio l’indicazione del modello significa orientare le priorità: dare più risorse alla resilienza climatica, migliorare la governance delle tecnologie e investire in sistemi di allerta precoce. È sensato mantenere monitorate anche le minacce tecnologiche — il progresso dell’intelligenza artificiale richiede regole, test di sicurezza e trasparenza — ma il dato centrale resta la vulnerabilità delle società ai cambiamenti ambientali. In Italia, come altrove, questo si traduce in politiche di pianificazione territoriale, gestione delle risorse idriche e protezione delle infrastrutture critiche.

In chiusura, il messaggio pratico è semplice: non si tratta di scegliere tra tecnologia e clima, ma di affrontare insieme entrambe le sfide. Un dettaglio che molti sottovalutano è che la riduzione dei rischi passa sempre per interventi concreti sul territorio — opere, servizi e regole — e per questo molte comunità stanno già adeguando piani e procedure alla nuova realtà climatica.