In molte zone della Campania la memoria del paesaggio originario si è persa sotto layer successivi di attività umana e cambiamenti naturali. In pochi si fermano a osservare le grandi escavazioni che costellano la piana, spesso scambiate per semplici cave abbandonate. Eppure sotto quei fianchi verticali e polverosi si nasconde la testimonianza fisica di una delle più grandi eruzioni mai avvenute sul suolo europeo. Il protagonista silenzioso di questa trasformazione è il tufo grigio campano, materiale di cui sono composte molte abitazioni napoletane e che racconta ancora la storia di un evento che ha cambiato letteralmente la geografia della Regione.
Ciò che pochi conoscono è che i Campi Flegrei, distretto vulcanico a ovest di Napoli, sono il frutto di cicli eruttivi impressionanti e di almeno due collassi calderici che hanno modificato per sempre il territorio. La più imponente di queste, risalente a circa 39.000 anni fa, è conosciuta come eruzione dell’Ignimbrite Campana. Un fenomeno di portata tale da coprire, secondo stime geologiche, gran parte della Piana Campana sotto strati di materiale piroclastico tra i 30 e i 50 metri. Oggi, chi si muove tra i vecchi scavi di tufo, spesso ricavati proprio da questi depositi, si trova a calpestare i residui solidificati di colate roventi che all’epoca viaggiarono per decine di chilometri a velocità impressionanti, cancellando vallate e antichi rilievi.
Un aspetto che sfugge a chi osserva questi fenomeni solo dalla superficie è la differenza tra l’impatto visibile e quello nascosto nel sottosuolo: la morfologia attuale della zona è solo una conseguenza parziale rispetto al cambiamento molto più vasto che si è prodotto sotto terra, dove le cavità estrattive seguono il percorso degli antichi flussi vulcanici. Strati sovrapposti, prove geologiche ancora perfettamente riconoscibili, tracciano la memoria di quell’evento nel paesaggio umano e naturale.
Quando la Campania cambiò volto in poche ore
Raccontare l’impatto dell’eruzione dell’Ignimbrite Campana significa affrontare un evento che, nel volgere di poche ore, riscrisse la mappa fisica della Campania. Secondo fonti scientifiche, la potenza dei flussi piroclastici fu tale da innalzare letteralmente lo strato topografico della regione di decine di metri in numerose aree. Dove prima esistevano valli o rilievi modesti, si creò una nuova superficie uniforme e più alta, cambiando corsi d’acqua e creando le condizioni per nuovi insediamenti, molti dei quali avrebbero avuto luogo migliaia di anni dopo.
Osservando i profili delle cave a fossa, si notano i livelli netti degli strati di tufo che si sono depositati come diretta conseguenza della grande eruzione. È un dato che i tecnici e i professionisti del settore delle costruzioni conoscono bene: la facile lavorabilità del materiale, unita alle sue proprietà fisico-meccaniche, ne hanno fatto un pilastro per l’edilizia in tutto il territorio. Non è un caso che, nella vita quotidiana di molte città italiane, il tufo sia ancora oggi così presente tra le mura e i palazzi storici.
Un dettaglio che molti sottovalutano riguarda l’impatto psicologico e culturale: per chi vive nei pressi dei Campi Flegrei, il senso del rischio e la consapevolezza della storia vulcanica non sono mai del tutto sopiti. L’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C., nota per la distruzione di Pompei, risulta minuscola se paragonata a quella che migliaia di anni prima aveva già riscritto la pianura e le sorti della regione.
Cosa resta oggi dell’eruzione nei paesaggi urbani e rurali
La presenza diffusa del tufo grigio campano non è solo un’eredità geologica, ma un elemento che ancora oggi forma le fondamenta materiali – e in parte identitarie – della Campania. In numerose aree, specie laddove l’urbanizzazione ha scavato a fondo, si possono osservare le cavità sotterranee lasciate dalle escavazioni, uno spazio di memoria fisica nel fitto reticolo al di sotto delle abitazioni e delle strade. Queste gallerie raccontano non solo l’antico sfruttamento estrattivo, ma anche la forza della natura capace di ridisegnare in poche ore un intero territorio.
Allo stesso tempo, la stratificazione dei materiali eruttivi pone ancora numerose sfide agli interventi di consolidamento edilizio e allo studio del rischio vulcanico nell’area. Gli specialisti della sicurezza e della tutela ambientale studiano costantemente la profondità e la distribuzione dei depositi, che variano anche di decine di metri tra una zona e l’altra. Non è raro che, durante opere di manutenzione o ampliamento urbano, emergano nuove porzioni di questi antichi strati, spesso ben conservati e ancora leggibili nei loro dettagli fisici.
Ogni stagione riporta alla luce piccole e grandi scoperte, mostrando quanto ancora la memoria geologica sia presente nel paesaggio quotidiano della Campania. In fondo, camminare oggi tra le strade di Napoli e delle cittadine vicine significa abitare letteralmente su ciò che resta di uno degli eventi naturali più potenti della storia mediterranea: una trasformazione che molti tendono a dimenticare, ma che affiora nei materiali, nelle forme del terreno e nella consapevolezza di una terra modellata dal fuoco.